Film
The Wolf of Wall Street
Le mani di un maestro del cinema unite alla professionalità carismatica di un DiCaprio che sfodera con disinvoltura ogni registro interpretativo, sono gli ingredienti di un cocktail vincente, che ha per nome The wolf of wall street. Un film che abbraccia le classiche tematiche del cinema scorsesiano, soprattutto nella sua capacità di raccontare l’ascesa e la discesa di un personaggio; ma che colora i sui confini di tinte nuove. Sfrontatezza ed eccentricità caratterizzano questo film, profondamente desiderato da DiCaprio e da lui stesso prodotto.
Jordan Belfort, è un broker. Un uomo che vive da protagonista la sua vita. Un vero e proprio show man che ci accompagna durante tutto il film, volgendo spesso alla camera il suo sguardo ed i suoi pensieri, attraverso una giungla di effimeri desideri che ne sigillano il passaggio verso la strada del peccato. Una vera e propria tribù, in cui Mark Hanna (Matthew McCounaghey) un sovraeccitato lucignolo, inizia Jordan ai segreti nebulosi del mondo del brokeraggio e della Babilonica Wall Street degli anni ’90. Strani festini in ufficio, nani che vengono lanciati al bersaglio, sesso, droga e masturbazioni diventano ben presto gli ingredienti chiave che colorano le giornate di Jordan e dei suoi amorali collaboratori. Con uno Scorsese che difficilmente lo si immaginava, prima di adesso, nel raffigurare orifizi e voluttuose nudità.
Una tragicomica avventura che forse troppo poco riflette su imperativi di ordine morale ma che proclama la venerazione del Dio denaro. Soldi, yatch e auto di lusso sono figlie di un bisogno, quella stessa creazione di bisogno necessario anche nella compravendita di una semplice penna. Ma perché un appassionato di auto d’epoca dovrebbe essere interessato a questo film, se non per godere della visione di splendide auto, in un circo bulimico di smagliante squallore? Tutto si colora di incertezze. Ferrari 512 TR rosse ma che in realtà sono bianche. Lamborghini Countach “intere” ma che in realtà sono distrutte a causa di una guida veicolata da fiumi di droghe. Jaguare E-Type gialle che simboleggiano il successo ricercato ed ottenuto di un personaggio che finirà per perdersi nelle file di quel gioco di equivoci ed inganni che lui stesso conduce.
Insomma il film di Scorsese è un’esaltazione chiassosa di eccessi, con un’apparente superficialità che riesce a scavare nel profondo. È un fiume di assurde analogie (si pensi all’accostamento tra spinaci di Braccio di Ferro e cocaina), in cui tutto ciò che è raffigurato non è quel che sembra. È un artificio di scene con un montaggio che ridicolizza e sconfessa quella realtà distorta che appare attraverso gli occhi del protagonista. È un uragano vertiginoso di droghe che permettono allo spettatore di “non morire sobrio”.