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#AMR2019, Torino torna a crederci
L’edizione di Automotoretrò 2019 che si è appena conclusa ha segnato un cambio di passo decisivo rispetto agli anni passati.
Quest’anno l’aria era diversa e non solo per le nevicate che hanno reso ancora più pittoresca la kermesse torinese ma, soprattutto, per i contenuti.
A Torino si confermano vincenti i club, senza di loro non ci sarebbero l’entusiasmo e il brio che si sono respirati al Lingotto. Da FCA Heritage, primo per estensione e varietà, ai sodalizi che riuniscono gli appassionati di Fiat Ritmo, Topolino, 500, Lancia, Autobianchi solo per citarne alcuni, sono tutti accomunati da quell’ entusiasmo e passione che ogni tanto portano gli occhi a brillare e le conversazioni a diventare da fredde e distanti ad amichevoli e coinvolgenti.
A proposito di sodalizi, si può azzardare che quest’anno a Torino sia nato anche un altro “club”, esclusivissimo, di LMX Sirex. L’esclusività del brand è inevitabile, non certo per snobismo, ma perché la LMX ha prodotto in tutto, proprio a Torino, solo una quarantina di vetture Sirex 2300 V6. Ma al di là del possedere le vetture, i club servono a diffondere la conoscenza delle realtà sottese ai singoli marchi. I proprietari delle due vetture esposte, padre e figlio, sono stati non solo accoglienti e disponibili, hanno trasmesso anche un entusiasmo contagioso per un marchio non certo conosciuto ma sicuramente meritevole di diventarlo. Le due vetture in esposizione, una spider (2 esemplari complessivamente prodotti) e una coupé (35/40 quelle realizzate) rappresentano oggi il 10% degli esemplari ancora circolanti al mondo! Se migliaia di persone hanno potuto vedere e conoscere un po’ la LMX e la sua storia, il merito è tutto loro che hanno sopperito all’inerzia delle grandi associazioni (e relative testate) che molto spesso cavalcano i grandi numeri dimenticandosi di realtà, in molti casi eroiche, che possono ancora insegnare qualcosa e stimolare riflessioni utili alla coesione degli appassionati.
A Torino ha fatto capolino il presunto barn find che ha acceso i social nelle ore precedenti l’apertura dei cancelli. L’immagine dell’Alfa Romeo Giulietta Sprint SZ attaccata a una gru impegnata a tirarla fuori da un garage sotterraneo ha appassionato tanti e molti hanno subito gridato al barn find per poi inanellare stories dietro al ritrovamento. Si tratta senza ombra di dubbio di una vettura di straordinaria importanza, specialmente nel centenario della Zagato, conservata bene ma non può considerarsi, a mio avviso, un barn find. Gli ultimi giorni l’hanno ripagata della lentezza in cui ha vissuto gli anni in cui è rimasta parcheggiata là sotto. In pochi giorni infatti è stata estratta, battuta all’asta e rimessa in vendita. La passione, il fuoco che ti porta a fare pazzie, questa volta è servita a lastricarle la strada verso lo stand di un commerciante che prontamente l’ha ri-proposta alla vendita. Fin qui niente di male, il business è business, ma non gridiamo al barn find! La poverina nel 1995 scorazzava ancora per strada, era stata già riverniciata ed era pure omologata ASI con bellissimi sedili in vinile azzurro dual-tone. Per una vettura costruita nel ’62 e rimasta in circolazione almeno fino al ’95 non è necessario scomodare la categoria romantica del barn find….certamente non nel 2019. Rientrano invece in questa categoria quelle auto di cui non si conosce l’esistenza o si favoleggia o azzarda la loro presenza da qualche parte. Lo erano le macchine della collezione Baillon, nascoste al mondo dalla fine degli anni ‘60 o inizi’70.
Le parole hanno un peso, il linguaggio deve essere preciso altrimenti le informazioni perdono di attendibilità a favore di confusione e incertezza. A proposito di linguaggio, alcuni commercianti, fortunatamente pochi, non si smentiscono mai. Se si ha la fortuna e l’onore di poter esporre una vettura di grandissimo pregio perché fare ricorso a parole a caso solo perchè accattivanti e di moda? Se si parla di esemplari realizzati in piccolissimi numeri, perché mortificarsi con ruffiani convenevoli? Una Fiat 1100 Allemano, senza bisogno di presentazioni, veniva proposta come conservata. Peccato che non lo fosse assolutamente, al contrario sembrava ben restaurata. Gli interni nuovi e la verniciatura possono candidarla per vincere un concorso, non certo per passare per conservata, cioè “originale”. Se è conservata non è riverniciata, se è conservata non ha gli interni rifatti. E’ capitato anche di leggere “originale, restauro totale” però qui è inutile commentare.
Il premio per la “vettura conservata” poteva andare più meritatamente a una Fulvia GTE; lei era dignitosissimamente segnata dal tempo in cui si è, ovviamente, conservata fino a oggi. Se una vettura è originale, lo è in tutte le parti non soggette a deperimento fisiologico. Qualcun altro, a proposito di un’utilitaria, ha azzardato una stima di originalità spingendosi ad un tranchant 80%: chissà come ha fatto. Scrivevamo qualche tempo fa che “l’originalità premia”, a condizione però che non sia “liftata”.
Tanti i ragazzi che hanno scelto Automotoretrò e questo restituisce un po’ di spontaneità ai discorsi consentendo almeno in parte di divagare da considerazioni ormai banali su mercato, aste, prezzi che vanno su e giù, auto di amici di cugini, etc…
L’Asi quest’anno ha allestito uno stand accogliente, ricco di iniziative e soprattutto aperto simbolicamente a tutti gli appassionati che potevano incontrarsi o sedersi con gli amici a parlare ovviamente di auto e moto d’epoca, ma anche di trattori come lo splendido FIAT 55R presente allo stand.
Infine, ma non per questo meno importante, è stata la presenza in forze di modelli Abarth di cui si celebra quest’anno il 70° anniversario. Molte le vetture esposte tra cui una Abarth Simca 2000 che toglieva letteralmente il fiato. Oltre ai prezzi c’è (molto) di più, la fortuna di noi italiani è (anche) di vivere in un Paese dove le automobili si sono concepite, progettate, fatte e disfatte.
Un’ultima annotazione riguarda le targhe, moltissime automobili presenti avevano ancora le targhe originali, tra cui una Fiat 2800 Ministeriale con ancora le bandiere italiana e tedesca (forse non originali, senz’altro evocative) e una americanissima Pontiac decappottabile immatricolata in una Gorizia che all’epoca contava appena 13.000 automobili! Qualcuna delle auto vendute andrà all’estero, altre rimarranno in Italia; la cosa importante, come sempre, è quella di guidarle, farle conoscere, proprio come hanno fatto i proprietari delle LMX, sempre che non si abbia un fienile dove custodirle in attesa del prossimo “ritrovamento”.
Nessuno è più ricco di cultura motoristica di noi italiani, tuttavia occorre conoscere per poterne beneficiare e quest’anno Automotoretrò è stato generoso di opportunità per conoscere e riflettere sul futuro della nostra passione.