Auto
Il mercato delle storiche in pillole: il linguaggio
Una premessa è necessaria
In queste poche righe proverò a fare una riflessione sulla terminologia che mercanti (prima) e privati (poi) hanno messo a punto per descrivere un’auto d’epoca. Il mercato di massa delle storiche è un fenomeno abbastanza recente per cui le fucine del linguaggio sono dapprima state le case d’asta inglesi e americane e in ultimo quelle di casa nostra, le cui nuove leve molto spesso tradiscono una formazione on the road che va bene fino a che parlano della Giulia di zio ma che può sembrare un po’ arraffata per vetture di maggiori pretese. Non pubblicherò foto per evitare che qualcuno si senta direttamente chiamato in causa anche se, così vuole la leggenda, alcuni diamanti brillano anche al buio.
Le case d’asta
Le Fab-Three anglosassoni regalano ogni volta un’ esperienza mistica; l’ inglese si conferma la lingua perfetta per il commercio. Ascoltare la presentazione delle storiche, delizia l’udito e prepara gli occhi al bagliore di quello che sarà. E diventa così un tripudio di “piping”, “emerald green”, “diamond shining”, “factory delivered”, “complemented”, “very sound”, “virtually new”, “titled lady owner”, “untouched”, “flawless”, “very original” etc
E poi arriva lei, la carretta in questione e ti chiedi se per caso il banditore ha sbagliato a leggere la descrizione del lotto in questione. No, è proprio quello. In ogni carretta, stando alle descrizioni che ci propongono, si nasconde la meraviglia dell’unicità, l’essere primo, primigenio. Ogni scarrafone…è buono per essere venduto. La sonorità dell’inglese, specialmente se con un discreto Queen’s accent, fa tanto lord che non si può sbagliare. Poi ti porti a casa quello che temevi. Però tecnicamente, anche in questo caso, un pezzo unico.
Le case d’asta nostrane scontano nel campo delle automobili d’epoca una gioventù che ha attinto a piene mani al modello delle sorelle più scafate. Non di rado nelle didascalie si trovano le stesse espressioni usate in inglese tradotte pari pari. Non bisogna certo essere la Olga Fernando nazionale per capire che alcuni modi di dire non si possono tradurre letteralmente: in italiano certe espressioni proprio non funzionano o semplicemente sono irrilevanti. Nessuno si è mai sognato di scrivere che le bordature dei sedili della 500 sono “contrastanti” anche se il “contrasting piping” è ormai linguaggio da osteria. Per non parlare poi di certe castronerie come che “l’Alfa 1750 è realizzata da Giugiaro per Bertone”. Al limite da Bertone per Alfa Romeo. Anche qui, ingenuità da ragazzi/e.
I commercianti
Al primo posto i chilometri. Non troverete mai una macchina d’epoca con molti chilometri e comunque sempre meno di 100.000 . Sono sempre pochi, pochissimi in alcuni casi persino poche migliaia. E si, a casa degli altri le macchine d’epoca dovevano essere contemplate quando in casa mia le usavano, all’epoca, quotidianamente per fare qualsiasi cosa o andare in ogni dove. Si, anche con la pioggia e con la neve. Vi confido anche questo: pure se c’era il sale sull’asfalto. Ogni macchina oggi sul mercato non ha mai sperimentato condizioni atmosferiche diverse dal sole e il mantra collettivo è “mai più di 100.000 km”. Mai! Così, complici i contachilometri a 5 cifre che agevolano un po’ la storia, non ho mai trovato un Alfetta 1600/1800/2000 per esempio che abbia oltrepassato lo Stretto di Magellano della distanza, mai. A Milano AutoClassica ho cercato conferme. Una Alfetta 1800 blu e scudo largo aveva i pulsanti clacson usurati e consumati, tuttavia di km ne aveva ovviamente meno, molti meno (segnati). La signora proprietaria, sicuramente pensionata, la usava ovviamante solo per andare a prendere la nipote a pattinaggio ergo pochi chilometri. altro tema, gli interni che sono e saranno sempre originali. Non dimentichiamoci però che nelle decadi passate i tappezzieri erano artigiani e non gioiellieri, gli interni si potevano anche rifare e rifare bene. Ma è l’ossessione spasmodica di poter scrivere “originale” che porta a negare anche l’evidenza. Infine le condizioni: “eccelsa” “unica” “nuova” “superba”. Poi la guardi e dici che pure quella della tua maestra delle elementari oggi sarebbe “eccelsa” . Le parole hanno un significato preciso, sono strumenti di un linguaggio codificato per comunicare concetti che dovrebbero viaggiare sicuri. Leggendo la descrizione di una Ferrari “superba” mi aspetterei quantomeno di vedere (certamente) una macchina non gonfia di filler, ad un occhio attento lo era. Infine i precedenti proprietari sono stereotipati sul tipo di vettura: per le utilitarie “pensionato/a”, per le medie “un anziano commerciante” un “maestro/a di scuola”, per le grosse ci sbizzarriamo a modo nostro, “medici, avvocati e commendatori” che però guarda caso non hanno mai guidato con l’acqua, col sole o col buio. Nessuna cabriolet “e’ stata mai utilizzata con la pioggia”. Forse la capote non l’ avevano, oppure “era la quarta macchina solo per andare in Costa Azzurra”. In Italia il mare pare non esserci, oppure evidentemente “piove”sempre.
Sulla rarità non spendo parole: anche ogni 127 che c’è in giro è in un colore o un allestimento di cui ce ne sono pochissime dunque rarissima. Milioni di esemplari prodotti, forse tutti per altri pianeti? Invece che sulla (presunta) rarità, forse sarebbe più credibile ragionare sulla conservazione, restauro, storia affascinante, etc.
Privati
Qui, il genio italico esce a tamburo battente. I connazionali di Dante, Leopardi e la Merini attingono a piene mani al linguaggio … di quelli sopra.
Quelli che hanno comprato una vecchia Rolls pensando di fare un fugurone al bar con la macchina “della Regina”, trovandosi a doverla vendere perché pentiti, partono con soliloqui spassosi. I termini usati sono gli stessi, ma un conto è se li usa un professista un conto e se si infilano a casaccio. I più avveduti lasciano “piped in mushroom” perché il traduttore automatico propone qualcosa che anche ai loro occhi suona strano, altri inseriscono nomi altisonanti per il colore della carrozzeria…Seichelles Blue, Sable, Gold. La tradizione italiana non ha mai posto troppa attenzione a sfumature di colore ( le cartelle colori dei produttori italiani sono sempre meno ricche di quelle inglesi) e comunque la peculiarità del nome del colore ha davvero senso se la macchina ha ancora la sua prima verniciatura o la tinta è stata riprodotta a regola d’arte. Se è stata rifatta da gente avventurosa o sciatta un Oyster Grey diventa facilmente un Silver Mink…so what?
Ovviamente i privati ripetono a macchinetta quelli che gli hanno riferito i commercianti da cui hanno a loro volta comprato: sempre pochissimi km, la fantomatica signora che andava dalla parrucchiera una volta a settimana e per il resto stava chiusa in casa, o fantomatici commendatori principi o attori che non risultano da nessuna visura perché ”certa gente non vuole comparire”!
La manutenzione poi “scrupolosa”, “tutta tagliandata”, “service completo”. Nessuna automobile ha quindi bisogno di manutenzione. Vai a vederle e la storia è sempre quella: “i tagliandi dopo il ’94 li ho persi”, “ la manutenzione la fa un ex meccanico della casa madre nel suo garage”, “le cinghie stanno bene, non c’ho camminato molto”.
Un linguaggio non veritiero è un altro fattore che altera il mercato. Nessuno pretende la veridicità di tutto quello che si dice e si scrive, tuttavia certi aggettivi o informazioni dovrebbero descrivere fedelmente una situazione o un avvenimento per dare la possibilità a chi acquista di sapere esattamente cosa porta a casa. Un mercato sano si deve poter fondare su una comunicazione trasparente in cui chi vende espone la sua merce senza giocare su doppi sensi, espressioni esotiche o circostanze comunque non verificabili che introducono incertezza e quindi un rallentamento nelle transazioni a scapito della fiducia.
Eligio
6 Dicembre, 2018 at 11:07
Buongiorno Manuel
condivido totalmente quanto scritto e mi sono sempre chiesto come mai le auto in vendita, a parte tutte “Eccelse”, hanno sempre meno di 100.000 km!
Personalmente ho acquistato per il piacere di guidare una BMW dimenticata da molti ma anche da BMW stessa… una E31 , 850i del 1991 con 215.000 km con qualche striscio e alcune cose da sistemare, non eccelsa e con molti più km dei canonici 100.000 ma per me molto bella
Moltissimi mi hanno dato sconsigliato di comprarla e perchè ha un V12 , ma forse è anche per quella che un appassionato la prende, perchè è stata dimenticata dalla storia ma a quasi due anni di distanza me la sono goduta con molta gioia. Non trovando pezzi di ricambi ho contribuito a fondare un Club del modello che non esisteva dove ci scambiamo idee e impressioni e link per le manutenzioni. L’ho sistemata e con pazienza riportata quanto più possibile all’originale per il semplice motivo che la cosa mi diverte. Non è ecclesa neache adesso ma mi piace cosi e quando accompagno a scuola mio figlio e qualche genitore o bimbo mi chiede informazioni con molto piacer gli rispondo 😉 Complimenti per il suo articolo e alla prossima
Manuel Bordini
6 Dicembre, 2018 at 11:22
Salve Eligio, la ringrazio per l’attenzione e per il feedback! Continuando a rimanere ancorati alla credenza che pochi km equivale a buono stato (eccelso oserei dire) continueremo ad avere annunci-patacca e vetture con descrizioni fuorvianti. Le vetture che hanno veramente pochi km e magari 50 anni possono riservare brutte sorprese se non sono state adeguatamente mantenute nella loro vita perchè una macchina si rovina di più a stare ferma che a muoversi (lubrificazione delle parti su tutto: il rischio più grande per un motore è l’avviamento ergo meglio 10.000 avviamenti e 10.000km oppure 1.000 avviamenti e 200.000 km??) Finchè la gente riterrà rassicurante sentirsi dire “pochi km” anzichè “vedere” lo stato oggettivo e la corretta manutenzione e uso rimarremo sempre spettatori di queste commedie da fieretta di paese. I commercianti/venditori dicono quello che l’acquirente vuole sentirsi dire, i tempi però sono maturi perchè diventino un po’ più seri anche loro Grazie ancora per l’attenzione 🙂