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Bibenda Day 2017, i territori al centro
Il Bibenda Day è un appuntamento fisso da quasi due decadi che riunisce a Roma il mondo del vino per una maratona emozionale di rara potenza.
Il 2017 ha visto protagonisti, assoluti ed indiscussi, i vini italiani, rectius, i territori italiani. Si, l’Italia è prima di tutto un giacimento di territori meravigliosi, alcuni timidi, altri scontrosi e difficili, ma tutti unici che ci regalano prodotti di straordinaria singolarità. L’unicità come il terroir sono concetti oramai di linguaggio comune nei dialoghi sul vino, tuttavia bisogna tenere presente un fattore trasversale che li colora entrambi, l’uomo. L’approccio culturale, tra cui la specifica tradizione vitivinicola, unito a un territorio talentuoso imprime a quest’ultimo il carattere dell’unicità promuovendolo a terroir. Un territorio felice è la base di partenza, il pane e salame a cui crescere, ma è la cultura che fa germogliare la gemma dell’unicità sia nel vino che in ciascuno dei mille prodotti che troviamo nei giacimenti enogastronomici di cui l’Italia è trapuntata.
La lista dei vini al Bibenda Day 2017, evento organizzato dalla Fondazione Italiana Sommelier di Roma, è imponente non tanto per i nomi, alcuni dei quali sconosciuti al grande pubblico, ma per la filosofia produttiva e l’idea stessa di vino ad essa sottesa. Fare vino non è difficile, fare un vino tecnicamente buono è alla portata di chiunque possa contare su un’ attrezzatura adeguata e un expertise che sappia coordinare al meglio il ciclo produttivo e di trasformazione. Fino a qui non c’è nulla di trascendente, nulla di magico. La magia, quella vera, la fanno quei vignaioli che sfidano i luoghi comuni, sfidano quello che si è sempre fatto e studiano, sperimentano, osano. Audentis fortuna iuvat.
La magia del Bibenda Day si è ripetuta anche quest’anno, nel cercare e ricercare le sfumature di quei vini davvero inaspettati, quegli interpreti del genius loci che sanno riportare nel bicchiere la gratitudine degli uomini a Dioniso e a trasformarla in emozione buona quindi vera. Tutti i vini presenti, conosciuti o non conosciuti che fossero, erano svincolati da quella matrice di aurea mediocritatis che avvolge così tanti vini, anche snob che spesso vengono barattati per grandi vini solo per il fatto che hanno grandi prezzi. D’altra parte snob altro non è che sine-nobilitate.
Il viaggio di scoperta, quello che siamo disponibili a fare con occhi nuovi, inizia con gli spumanti. Tuttavia, non i “soliti” spumanti italiani che troppo spesso soffrono del complesso di Icaro senza accorgersi di quanto l’autenticità sia riconoscibile come virtù.
Dei quattro presenti nella prima batteria il “Terzavia” 2013 di Marco De Bartoli detta un nuovo standard assoluto nel panorama dei metodi classici con vitigni non convenzionali. Grillo in purezza la cui rifermentazione è indotta dal mosto della vendemmia successiva. Solo lieviti indigeni per questo pas-dosè dal nobilissimo bouquet di sensazioni nuove, un amore entusiasta per il territorio patria del Marsala che veicola in questa bollicina sentori di frutta bianca, ricordi floreali di petali di rosa, fiori di zagara e mineralità marina sostenuti da una vibrante freschezza che dona al vino verticalità, ampiezza e un finale quasi agrumato. In bocca, la complessità del vino si trasforma e passa in rassegna come in un album fotografie di emozioni e speranze, quelle che Marco De Bartoli aveva senz’altro riposto in questo vino che oggi riesplodono con tutta la loro potenza.
Il secondo gruppo è composto dai quattro bianchi cd. “del freddo”. Tra questi, solo e incontrastato regna il “Vette di San Leonardo” della Tenuta San Leonardo. La famiglia Guerrieri Gonzaga produce tra gli altri anche il San Leonardo, taglio bordolese di rara potenza espressiva.
Entrambi i vini sono il frutto di una visione che mette alla prova il territorio da sempre vocato al Teroldego con un altro “bordolese”. Dopo il Merlot, il Cabernet Sauvignon e il Carmenere, il Marchese Guerrieri Gonzaga arricchisce la sua tavolozza con un colore nuovo, il Sauvignon Blanc. Il Sauvignon Blanc interpreta il territorio trentino ed il risultato è un vino inedito, in cui il Vette di San Leonardo appena sussurra il varietale che rimane sommesso, in fondo. Sentori di uva spina, profumi mentolati con ricordi accennati di polvere pirica conditi di una gradevolissima mineralità con una punta di cedro delineano un vino che farà molto parlare di sè.
Anche nella terza batteria la scelta è difficilissima. Si scontrano “A’ Puddara” della Tenuta di Fessina e il Trebbiano d’Abruzzo di Emidio Pepe. Nel primo caso siamo davanti ad un territorio, quello dell’Etna, che premia il Carricante in un luogo dove questo vitigno non veniva coltivato e che si è rivelata una scelta vincente, anzi una sfida vinta. La lungimiranza di Silvia Maestrelli ha portato a sperimentare questo vitigno in un versante del territorio dell’Etna non tradizionalmente vocato perché la sinergia uomo-ambiente esprima un vino che vada oltre la tipicità, sia un vino buono oltre ogni schema, un nuovo standard che segni l’inizio di una nuova evoluzione per la enologia dell’Etna. Per citare Veronelli, siamo davanti a un vino “umano”, che parla ed emoziona, vini che rimangono nel cuore e nella memoria. Del Trebbiano di Emidio Pepe, non si può dire altro che è un vino unico, talmente unico da risultare antipatico. Al naso, presenta subito una nota quasi smaltata, che ci si aspetta da un Trebbiano d’Abruzzo. Ma questo non è un Trebbiano d’Abruzzo, è Emidio Pepe. Il colore è opalescente complice la filtratura artigianale, con riflessi dorati. Ad un esame più approfondito emerge la straordinaria originalità di questo vino, l’interpretazione di un territorio la cui vocazione viene plasmata in campagna e in cantina attraverso la tradizione che qui è l’esperienza del padre e del nonno di Emidio. Ogni bicchiere è un concentrato di tradizione, un concentrato di terroir nella sua più autentica espressione.
La quarta batteria è un canto di quattro sirene. Il degustatore si trova come Ulisse tentato ai quattro angoli, una sfida di capolavori assoluti. Vini di Bruno Giacosa, Romano Dal Forno, Giuseppe Mascarello e Nino Negri che vibrano note irresistibili di equilibrio e armonia. Dovendone scegliere uno, personalmente premio la Riserva Asili 2011 di Giacosa. La nota ematica svanisce nel bicchiere come neve al sole lasciando posto al paradigma del Barbaresco nei suoi riflessi luminosi di un rubino compatto e ammaliante. Al naso è un esplosione di sensazioni di sottobosco, lampone e rosa canina addolcito da speziature dolci di caffè e tabacco. In bocca trova conferma la magia olfattiva in una sensazione infinita di freschezza e morbidezza. Particolare menzione anche al Monprivato 2012 di Mascarello, forse troppo giovane per essere compiutamente apprezzato ma che tradisce comunque indizi di una grandezza che solo nel 2025 potremo compiutamente apprezzare.
La quinta batteria soffre dello stesso dilemma della precedente. Tuttavia, viaggiamo con occhi nuovi e quello che vediamo ne “Le Potazzine” ha qualcosa di misterico, qualcosa che non nasce dall’intelletto, ma dalla sensualità della terra di Montalcino. Questo vino parla all’istinto, rapisce e inebria. Le sensazioni sono nette, istintive. Ai sentori di frutti piccoli, si accompagna una componente floreale delicata che racconta di lavanda, violetta perfettamente in armonia con sensazioni balsamiche che ne fanno un vino di estrema soddisfazione e piacere. I grandi produttori devono cercare di fare grandi vini, Gigliola Giannetti Corelli alza la posta e sfida il mondo del vino il suo Brunello “Le Potazzine”e regala la netta sensazione di un vino irripetibile.
La giornata si chiude con i rossi “del Sud”. Tra questi si distingue uno su tutti, per l’ eleganza quasi sanguigna, fatto in Sicilia da Arianna Occhipinti. E’ il Frappato 2014 ed è un fulmine a ciel sereno, un vino sferzante che racconta la vitalità di questa terra, della proprietaria nella ricerca di un prodotto che vada oltre gli stereotipi enologici della terra iblea.
Un altro in batteria era il Turriga 2012, che descriviamo con le parole di Antonio Argiolas: “il segreto di vivere a lungo è la voglia di vivere e la voglia di fare e io ho sempre avuto tanta voglia di fare”. Prosit!
Classe '76, Dottore di ricerca, libero professionista e Master Sommelier FIS, coltivo da sempre la passione del vino e delle auto d'epoca. In entrambi i settori concentro il mio interesse sulle produzioni italiane di eccellenza come strumenti di crescita economica e diffusione della nostra cultura nel mondo. Punti deboli? Le supercar '60 e '70 ed i grandi rossi dell'Etna!