Garage VdS
La lenta ascesa dall’oblio dell’Urraco
Tutto cominciò da una foto sgranata, da una porzione di cofano semiscoperta. Di più non si vedeva, tuttavia sufficiente per essere trapassato dalla freccia di Cupido. Quella doppia feritoia aveva un solo nome: Lamborghini Urraco. Era lì da qualche parte, non era più nel cyber spazio; avevo un nome, l’unico trait d’union tra me e lei, quasi la sfioravo. Istantaneamente ho contattato la persona che aveva pubblicato il timido annuncio di vendita in uno dei tanti gruppi di Facebook popolati da mitomani, saccenti e qualche sincero appassionato che il più delle volte si manifesta con il pudore di chi avrebbe tanto da dire ma per rispetto al valore della propria conoscenza non vuole darla in pasto a iene arroganti. Il proprietario dell’auto pubblicò infatti per una frazione di poche ore una galleria di immagini delle auto che aveva intenzione di vendere e tra queste c’era anche quel cofano, che da anni sognavo, la più bella delle “fab three” made in Italy degli anni 70.
Alla richiesta di info subito non risponde, i pensieri si ammassano, le paranoie ti lacerano, i dilemmi sulla bontà dell’annuncio sovrabbondano. Dopo qualche ora, ricevo un messaggio di risposta, da parte di uno sconosciuto che non riconosco ma che recitava testualmente “la macchina sta bene, qualche lavoretto da fare ma tutto sommato sta abbastanza bene” . L’Urraco c’era ancora! L’annuncio era vero, ero ancora in gioco e dovevo vincere. Il proprietario (ex) scriveva da vicino casa, la sfida si faceva ancora più viva, il vantaggio sugli altri era ancora più marcato. Mi offro subito di andare a vederla, mi risponde che è in vacanza e che sarebbe tornato a casa il lunedi successivo, per di più nel mio stesso paese! L’euforia, la sensazione di esserci ad un centimetro sovrastavano ogni altro pensiero, ero sempre più vicino alla mia prima Lambo e lei sempre più vicino a me. I contatti si fecero sempre più fitti, fino al lunedi successivo dove la scontata telefonata esordiva con “Ciao, sono Manuel, sei tornato?”
La sera stessa ero nell’interrato in cui era custodito quel toro di un arancio ammaliante, l’arancio della Miura, infuocato. La cromoterapia è stata sempre la terapia più adatta a me che fosse il blu di Ceylon, il verde di Colombia, il rosso di Birmania, l’azzurro del Mozambico o il rosa di Argyll. Nei primi secondi l’ho contemplata in defrente silenzio, godendomi la sagoma suadente e sublime di proporzioni classiche, la linea di Gandini è la trasfigurazione metafisica dell’idea stessandi equilibrio. Il momento era giunto, potevo svestirla. Il lenzuolo, sbiadito da anni ingenerosi, era andato e si mostrava li acquattata come un felino, splendida e generosa di emozioni dispensate spontaneamente come quelle persone che non chiedendo nulla danno tutto quello di cui sono capaci. Dopo 22 anni, l’avrei tirata fuori da li ad ogni costo. Ho cercato di sfoderare tutte le mie armi da mercante nato sotto l’ascendente di Mercurio ma nulla, dall’altra parte non arretravano. Dopo il rituale silenzio di qualche giorno, ho prontamente richiamato chiedendo di rivederla, so che sarei andato disposto a tutto, ad allineare tutta la potenza di fuoco di cui ero capace, non avrei sentito ragioni, la sentivo già mia e l’avrei riportata alla luce. E così è stato.
E’ bastato una rapida occhiata alla carrozzeria per capirne le condizioni generali, abbastanza buone tenuto conto del ventennio passato nell’oscurità; il motore, l’otto cilindri di Paolo Stanzani, di 2,5 litri era al suo posto, sicuramente pronto a tornare a caricare le incoscienti coetanee lungo le strade della Bassa tra Modena e Bologna. Gli interni sono assolutamente perfetti, i tappetini originali ancora li, nessun logorio, i fanali si accendono e mi danno il benvenuto con un’incoraggiante brillantezza. L’assillo di ogni collezionista di sportive italiane è adesso quello della verifica dei numeri per vedere se corrispondono: secondi che tolgono il fiato e fanno battere il cuore in gola . Li per li, nel vano motore non trovo il numero di telaio, ma solo un numero ricompreso tra due asterischi (*19*) che nulla ha a che vedere con la stringa che mi aspettavo di trovare, ovverosia *15036*. Nel motore idem, non c’è traccia del numero tanto agognato. Non senza qualche timore, inizio la ricerca con l’ausilio del fido Google, ben presto localizzo i numeri, il tempo di un sospiro di sollievo e si riparte alla ricerca, è l’ultima spiaggia devono essere stampigliati li ripeto tra me e me! Il numero di motore emerge rapidamente, 15036 ripeto ossessivamente tra me e me, 15036 eccolo! Idem per il telaio che la Lamborghini aveva simpaticamente messo sotto la ruota di scorta, che non avevo voluto ancora rimuovere essendo ancora dotata dello stesso pneumatico di primo equipaggiamento.
Il “discerning buyer” a questo punto, non potendo tentare di avviare l’auto per ovvie ragioni, dovrebbe almeno svitare una candela e verificare lo stato interno del motore per capire se le canne sono una cava di ruggine o se ancora splendono. Non sono tuttavia questi i momenti nei quali si vuole essere razionali e cercare la verità, dopo imprese titaniche legate al rifacimento di V8 da incubo come quello Rolls Royce o Maserati non sarebbe stato certo questo “bimbo” a farmi desistere, tuttavia per sicurezza ho voluto rimandare la prova.
Dopo un primo timido tentativo di trattare il prezzo, stante la irremovibile, forse solo apparente, indisponibilità a concedere “limature” gli chiedo “Con questi soldi cosa ci farai? Hai un progetto?” Il sinallagma era formato, appuntamento a martedi in agenzia. Non nascondo l’emozione di averla vista uscire da là sotto, in una bella e limpida giornata di fine settembre, era sul carro attrezzi, non poteva succedere più niente, il mio garage è a 2 kilometri e il sole splende. Le oche del giardino la salutano andar via, l’asino e l’asinello ragliano. In fin dei conti non l’avevano mai vista, tutto è successo mentre lei era la sotto, la casa è stata costruita sopra quel garage mentre lei era la sotto, il mondo è cambiato mentre lei era là sotto. Oggi ha fatto la sua rentree nel mondo portando con sé un po’ del soffio di quella fabbrica da cui, regnante Ferruccio, uscì nel 1972.
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