Film
Il Sorpasso: quando velocità fa rima con fatalità
Un affresco ironico e tagliente di un’Italia che corre spedita e incosciente verso il boom economico. Una Roma soleggiata e sorniona, resa ancor più pittoresca dal cocente sole d’agosto. Due protagonisti agli antipodi, ma forse proprio per questo incredibilmente complementari. Un’auto, l’Aurelia B24 Spider, che dal 1954 al 1958 è diventata il simbolo di un’elite che della ricchezza e della bellezza aveva fatto un modo di vivere.
“Il sorpasso”, capolavoro di Dino Risi del 1962, è questo, ma anche molto altro. Mai come in questo caso un regista del nostro Paese ha saputo parlare alla coscienza dell’italiano medio dalle pieghe di una commedia apparentemente fine a se stessa, piena di risate e battute memorabili di un Vittorio Gassman in grandissimo spolvero.
Di fine a se stesso e lasciato al caso, invece, nel film c’è ben poco. Sembra facile la vita per il Bruno Cortona interpretato proprio da Gassman: viaggia spedito e impavido sulla sua Spider, canta a squarciagola tutte le canzonette più in voga del periodo, ammalia le donne con una facilità disarmante, ha lo spirito d’iniziativa e di adattamento di chi impara a conoscere gli altri nel giro di pochi secondi. Vive la vita con il sorriso, vive di emozioni rapide come la sua auto e mutevoli come il suo umore. La sua capacità di contagiare gli altri con il suo entusiasmo, con la sua voglia di cambiamento verrà pagata a caro prezzo da Roberto Mariani, interpretato da un altrettanto indimenticabile e perfetto Jean Louis Trintignant.
Mariani è uno studente di legge: crede nelle passioni sane, nella vita controllata e tranquilla, nel futuro e nel destino programmati a tavolino. Come se il domani fosse una certezza, come se la donna di cui è innamorato potesse essere conquistata con lo stesso metodo e con le stesse tempistiche con cui ci si prepara per un esame in università. Mariani è, insomma, il sacrificio misto a paura, la consapevolezza della fatica mista a difficoltà nel rapporto con la vita e con gli altri.
È destinato ad una fine tragica, Mariani: lo capiamo, subito, per poi averne la certezza quando la conversione e l’assorbimento della filosofia dell’amico diventano compiuti. Il viaggio improvvisato e pieno di avventure al limite del grottesco tra Toscana e Lazio compiuto dai due nell’arco di un giorno e mezzo ha da subito il sapore del viaggio interiore per il malcapitato studente, catapultato in un mondo di emozioni tanto forti quanto rapide (i sorpassi in automobile, gli incontri con donne belle e sfuggenti) che per tanto tempo aveva chiuso fuori dalla porta del suo bunker, ma che forse, in un certo senso, nel profondo un po’ lo avevano sempre incuriosito e attratto.
Quando la curiosità si fa rifiuto di tutto quanto costruito in precedenza, però, per Mariani arriva la fine. Arriva, inevitabilmente, a bordo di quell’auto bella, invidiata e pericolosa. Quell’auto che all’inizio temeva con tutto se stesso e che, nel corso del film, diventa per lui uno strumento di liberazione e libertà dal perbenismo nel quale aveva rinchiuso cuore e desideri. “Sorpassa!”, grida felice all’amico, ignaro della sua imminente quanto prematura e assurda fine.
È come se il regista avesse voluto punirlo, questo studente così rapido nell’abbracciare la vita che aveva sempre rifiutato. È come se avesse voluto dirci: “Voi, persone comuni con problemi comuni, non fatevi ammaliare dai brividi di una bella macchina o dai Bruno Cortona di turno: loro cadono sempre in piedi, voi invece potreste finire in un burrone”.
E l’altro protagonista? Si dispererà, forse per una settimana, forse per un mese. E poi si riprenderà, con lo spirito camaleontico di chi riesce ad adattarsi a qualsiasi dolore o situazione scomoda. Forse tornerà dalla famiglia che aveva abbandonato. Forse, più probabilmente, prenderà un’altra auto e ricomincerà lì dove il film si è interrotto.